di Manuela Soressi
Per il Montasio vendite a +7,8%, la Fontina punta a differenziare il marchio, mentre Piave ed Asiago rivedono il disciplinare per legarsi maggiormente al territorio. Investimenti anche per Parmigiano e Grana Padano
La montagna è stata nella scorsa estate la destinazione turistica vincente. Si discute in questi giorni a livello politico su come poterne usufruire anche d’inverno. Quello che è certo è che i suoi valori di naturalità, autenticità, sostenibilità e biodiversità si stanno riverberando in modo positivo anche nel mondo del food, facendone caratteristiche importanti per le scelte d’acquisto degli italiani.
Acquisti in aumento
Il 2020 si sta rivelando cruciale per questo patrimonio di eccellenze agro-alimentari: l’irrompere del Covid-19 ha spinto la domanda di prodotti genuini, “naturali” e sostenibili, aprendo nuove opportunità commerciali per i prodotti di montagna. A patto che sappiano riorganizzarsi in modo da presidiare i canali commerciali del momento, (e-commerce e Gdo) e compensare, quindi, il crollo delle vendite nella ristorazione.
A guidare il “nuovo corso” dei prodotti di montagna sono i formaggi, in particolare quelli Dop, sempre più amati dai consumatori anche urbani. Nei primi nove mesi del 2020 le vendite di Montasio Dop sono aumentate del 7,8% e con l’estate sono ripartite anche quelle di
Casera Dop e Bitto Dop, espressioni di una filiera da 15 milioni di euro. Bilancio positivo anche per il
Puzzone di Moena Dop, che nella versione di malga ha raddoppiato la produzione, e per l’
Asiago Dop di montagna, con forme aumentate del 12% durante l’estate 2020.
Nuova segmentazione dell’offerta
Dunque, produttori e consorzi di tutela stanno puntando sempre più sulla produzione di montagna in un’ottica di segmentazione dell’offerta casearia, di enfatizzazione del legame con il territorio e di presidio a difesa della biodiversità. Così c’è chi si organizza per brandizzare il prodotto distinguendolo dal resto della produzione tutelata, come l’Associazione dei proprietari d’alpeggio (Arpav) che ha creato il marchio Estrema d’Alpeggio Fontina Dop, riservato al formaggio prodotto sopra i 2mila metri di quota con il latte crudo di animali alimentati solo con erba di pascolo. Altri consorzi hanno preferito mettere mano ai disciplinari produttivi per legare maggiormente il formaggio al territorio e andare incontro alle esigenze di malghe o latterie di piccole dimensioni, com’è accaduto al Piave Dop, per cui è stato consentito anche il latte delle vacche della razza tipica grigio-alpina.
Nuovo disciplinare anche per l’
Asiago Dop, all’insegna del rafforzamento del legame con il territorio d’origine, della valorizzazione della naturalità (no alla lisozima, sì al caglio vegetale) e del rispetto del benessere animale (certificato in modo volontario). Sono salite a oltre 52mila le forme di Asiago Dop etichettate come “prodotto della montagna”, ossia dotate del marchio ministeriale riservato alle produzioni delle aree montane.
Parmigiano Reggiano, la nicchia si espande
Un label su cui sta puntando anche il Parmigiano Reggiano, il più importante prodotto Dop ottenuto in montagna, con 1.100 allevatori e 4 milioni di litri di latte l’anno. Per offrire garanzie non solo sull’origine anche sulla qualità del formaggio, il Consorzio ha varato una certificazione ad hoc riservata al prodotto che rispetta precisi requisiti, anche organolettici, e che viene rilasciata al 24esimo mese di stagionatura.
Dal 2021 il Parmigiano Reggiano di montagna si potrà acquistare in fase ancora di stagionatura e con consegna differita sul mercato telematico, grazie al protocollo d’intesa firmato tra il Consorzio di tutela e la Borsa merci telematica italiana. «Con questa nuova piattaforma promuoviamo una forma innovativa di vendita e un sistema rivoluzionario per i formaggi a lunga stagionatura che ci auguriamo possa diventare un modello per altre eccellenze dell'agroalimentare italiano», ha spiegato il presidente Nicola Bertinelli.
A credere nel Parmigiano Reggiano di montagna è soprattutto DalterFood Group (100 milioni di euro di fatturato consolidato, per il 74% realizzati all’estero), che ha investito 3 milioni di euro di fondi propri per raddoppiare la capacità produttiva del suo caseificio Colline del Cigarello e Canossa, diventato il più grande del comprensorio (150 forme al giorno) e il più sostenibile, grazie a un nuovo impianto per la depurazione delle acque e all'introduzione di una centrale termica a gas metano.
In area Grana Padano, mentre la Latteria San Pietro ha portato una decina di forme del formaggio “selezione fieno” ad affinare sui monti della Val Badia, per creare una supernicchia, intanto il Trentingrana ha presentato il suo nuovo approccio al mercato.
«Il Covid ci ha costretto a guardare il mondo con occhi diversi – spiega Andrea Merz, direttore di Concast, il Consorzio dei caseifici sociali trentini che rappresenta 700 allevatori locali – Così sono nate due novità: il lancio dello stagionato 30 mesi, a cui abbiamo destinato solo 2.500 forme (sulle oltre 100mila complessive) per offrire un prodotto di nicchia, e il restyling del pack del Trentingrana confezionato o grattugiato, dove abbiamo messo in evidenza l'origine montana e il logo Qualità Trentina».